1942

 

 

1942 - L'inizio della mia storia

 
 

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1942 – La guerra in Italia non è ancora finita, io non ero ancora venuto al mondo, ma Enrica Vitali, mia madre, conobbe allora Bruno, quello che poi divento’ mio padre. Ed ecco che nel lontano 1944, sotto i bombardamenti naque il sottoscritto. 
     
« Classe di ferro » fu poi definita tra amici che naquero negli stessi anni,…chissà perché.
Babbo, era puro veneziano, da origini nobiliari e mamma era una semplice donnina di paese marchigiano in provincia di Macerata, per precisione Tolentino, ma io fui messo al mondo a Portomaggiore in provincia di Ferrara. Questo grazie alla guerra.
Naturalmente mamma dovette tornare a vivere nel suo paese per un certo periodo, e cioè fino alla fine della guerra raggiungendo poi mio padre a Venezia e li vissi fino all’età di 7 anni.
 
Per vari motivi che non ricordo, ci trasferimmo tutti a Tolentino e li continuai la scuola per un anno circa. Quello fu un periodo del quale mi ricordo molto bene  vari dettagli, mi ricordo i luoghi in cui ho vissuto, le maracchelle che facevo e sopratutto quanto facevo impazzire mia nonna Maria, la poverina doveva attaccarmi alla inferriata della finestra del piano terra per impedirmi di scappare con un amichetto, non per niente, solo perché andavamo a giocare nella discarica pubblica in mezzo alle immondizie, raccoglievamo i pomodori che vi crescevano per mangiarceli. Una mattina, mamma dovette portarmi d’urgenza all’ospedale… avevo bevuto da una bottiglia del puro estratto di varichina. Me la cavai con un bello spavento e una settimana di ospedale. La casa che abitavamo era un vecchio convento, mi ricordo i soffitti tutti ad arco e decorati con degli affreschi bellissimi . Mia nonna l’aveva comperata quando fu messa in vendita. A Tolentino mi sentivo bene, oltre alla scuola, mamma mi iscrisse alla « Scuola Cantorum » e, personalmente mi piaceva partecipare ai corsi, mi piaceva cantare, e divenni fra l’altro la prima voce della scuola, il mio primo concerto fu nel 1952, avevo allora 8 anni.
 
 
Quell’anno fu l’anno del ritorno a Venezia e per me le prime sorprese, la prima l’entrata in collegio. Fu uno choc terribile, perché in me stesso pensavo che si trattasse di una punizione, pertanto ero sicuro di non essere colpevole di niente, mentre la ragione era tutt’altra. Infatti mamma era infermiera per cui doveva lavorare spesso di notte mentre mio padre come tutti lavorava di giorno quindi era difficile occuparsi a tempo pieno di me, allora la decisione era stata di mettermi in collegio. Collegio Don Bosco, agli Alberoni, Lido di Venezia. La prima cosa che dovetti subire fu il taglio a zero dei capelli, cosa della quale andavo molto fiero perché tutte le amiche di mia mamma mi chiedevano sempre di dar loro i miei riccioli. Dopo quella che per me fu considerata come una enorme umiliazione, versai tante di quelle lacrime che per un mese anche se avessi pianto non ne sarebbero più uscite. Volli vendicarmi, ribellarmi, dicevo a tutti che li non sarei rimasto, ed infatti un bel giorno… Franco non si trovo’ più. Ero scappato. Per tre giorni mi cercarono nelle vicine campagne, lungo le spiagge, ma invano. Io nel frattempo, che poi non ero cosí lontano, mi nutrivo di frutta, di radici che crescevano nella sabbia, di more trovate nei rovi, ma alla fine dovetti cedere e presentarmi all’entrata del collegio … avevo sete e non trovavo acqua, ma forse è stato meglio cosí. Rientrai in collegio con un sentimento di orgoglio, perché non mi avevano trovato, nemmeno i Carabinieri, agli amichetti che mi chiedevano come avevo fatto, cosa avevo mangiato, dove ero andato, rispondevo con fierezza che se ero tornato era per far vedere « ai grandi » che se volevo non mi avrebbero mai trovato. Naturalmente quando mamma venne a trovarmi subito dopo il mio rientro, ebbi diritto ad una bella strigliata e per di più qualche buon scoppolone (ben meritato). Fu cosí che trascorsi due anni in quel collegio « Collegio Don Bosco ». In fin dei conti quel periodo fu per me di grande utilità, perché li imparai a conoscere la disciplina, l’obbedienza, vivere, giocare e sopratutto studiare.  Ed è cosi che terminai le scuole elementari, ma non senza lasciare ancora un bel ricordo al collegio del mio passaggio, infatti durante il periodo degli esami, tutte le mattine eravamo accompagnati a due per due e in fila indiana, alla vicina scuola esterna al collegio e questo per gli ultimi esami. Strada facendo, con il mio compagno di classe, ci stavamo chiedendo se veramente, come spiegato dalla maestra in precedenza, con i Papaveri si facevano dei narcotici… senza esitare abbiamo voluto verificare quanto dettoci, e ci mettemmo a mangiare, strada facendo, i semi dei Papaveri che raccoglievamo sul ciglio della strada, e questo fino alla scuola. Grande fu lo spavento della maestra quando venne il nostro turno dell’esame orale, perché tutti e due dormivamo profondamente la testa sul banco. Questa quando seppe quello che avevamo combinato, chiamó immediatamente l’ambulanza facendoci andare all’ospedale per fare delle analisi, le quali svelarono semplicemente che quei semi ci avevano talmente rilassati che ci fecero addormentare. Ci svegliammo comunque di nuovo in collegio e qualche giorno dopo venne mia madre con un bel articolo di giornale che intitolava « Due piccoli scienziati ». L’articolo naturalmente fu accompagnato da qualche ceffone ed il titolo di « Incosciente e pericoloso ».
Dopo il collegio feci la prima comunione, mi ricordo ancora quel vestito che indossavo e nel quale mi sentivo un po’ impacciato e fiero contemporaneamente, eravamo poi andati in piazza San Marco per fare delle foto ricordo della prima comunione. La festa poi avvenne in casa dei nonni paterni, nonna Maria e nonno Giulio a San Giobbe. Eravamo praticamente tutte le domeniche in casa loro, perché ci si riuniva tutti, zio Luigi, le zie Iolanda e Licia, spesso anche lo zio Ettore con la zia Clara, senza dimenticare zia Marisa e zio Ferruccio con Alfredo mio cugino, non posso certo dimenticare zia Elena e zio Premio insieme a mia cugina Berenice. Ricordo molto bene nonna Maria sempre indaffarata con la cucina a carbone e fare da mangiare per tutti, “non mangiare il parmigiano” diceva, “ti fa cadere i denti”, si perché io volevo sempre aiutarla a grattuggiarlo e con quella scusa ne potevo mangiare.
Nonno Giulio mi incuteva soggezione con la sua aria austera, sembrava burbero, invece era molto bravo, di mestiere faceva il calzolaio e io quando passavo dove aveva il negozio, gli rubavo “le puntine”  cioè i chiodini piccoli che utilizzava per le scarpe. Era un grande conoscitore di geografia e spesso mi sfidava con delle domande per vedere se a scuola studiavo e imparavo bene questa materia. Aveva l’aspetto e la fisionomia del Generale De Gaulle.